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2007 - Marostica, “Tra le pieghe di un fantastico reale”, Ex Chiesetta San Marco (marzo)

Il primo cesto di fili lo vidi forse un paio di anni fa, per un certo periodo rimase unico, solitario, errante nel soggiorno di casa mentre la sua creatrice si interrogava sull’uso di strumenti tradizionali come il pennello e la tela e se quanto fatto esprimesse in termini attuali ed originali il suo pensiero artistico. La conclusione di questo periodo di riflessione ed approfondimento è resa manifesta proprio da questa esposizione. Manù è un’artista sensibile, curiosa, pur aperta al nuovo non rinnega la conoscenza acquisita, libera da dettami commerciali e non condizionata da schemi e convenzioni, esplora ed elabora nuovi temi che sono il prodotto di una personale ed intima ricerca. Nelle sue opere convivono e si integrano reminescenze a volte inconsapevoli, trasmesse con un linguaggio evoluto, frutto dell’esperienza, cresciuto e maturato nella vita di tutti i giorni, nel suo essere figlia, mamma, moglie, artista. Questo cesto rigurgitante di fili di lana poggia su un tessuto di poche pretese, sul quale l’allungarsi disordinato dei fili, viene arginato da una linea spezzata, marcata dalla frangia, da cui si dipartono segni flessuosi che pongono in risalto profondità e movimento. Nell’opera di successiva esecuzione, rileviamo maggior certezza. Il tessuto è reso più interessante ed inoltre le zucche rappresentate confermano la scelta cromatica; i pennelli, cessata la loro funzione e riposti, diventano loro stessi parte dell’opera. Ricordo il racconto del viaggio di ritorno da un periodo di vacanza in Spagna, con una imprevista sosta vicino alle macerie di una vecchia casa, la scoperta e raccolta di alcuni calcinacci su cui comparivano tracce di pittura murale. La memoria dei frammenti, del paesaggio marchigiano di recente rivisto, dei fili d’erba, non di lana, dei fiori retaggio della precedente produzione artistica, della stanza adibita a merceria nel negozio della nonna, provoca ora la realizzazione di queste stoffe finemente decorate, rigonfie, con mossa passamaneria, a volte accatastate e di non certa identificazione. Gli oggetti, pochi, sono raccolti in ambienti tranquilli, ordinati, reali, dove, adattata la vista si percepisce una luce attentamente dosata e diffusa; il colore vivido, acceso ma equilibrato, evidenzia senza eccedere una composizione ben ritmata, nulla viene lasciato al caso. Nei quadri, Manuela cerca un momento di pausa, respira, stacca la spina, rallenta i tempi. Un gatto con occhio inquietante, accentua nella sua posa il fermo immagine, blocca la trama, l’osservatore segue il filo-guida dentro nel quadro, lo sguardo lambisce la tazza, si sofferma sul piatto che svela la tavolozza dell’artista, nota una prospettiva forzata che amplifica il segnale visivo, tutto tace, sgorgano le note del sax.

Giancarlo dal Moro

 

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